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Anna Piaggi: Manifesto di una libertà stupefacente


C’è una donna che si reinventa, cosa già di per sé difficile, milioni di volte. Ci sono 265 paia di scarpe, 932 cappelli e quasi 3000 vestiti. E poi c’è una penna, ma non una penna qualsiasi. È una penna irriverente, che scrive famelica. Scrive di qualunque cosa in qualunque momento, distruggendo barriere e stereotipi, assaporando l’antico e il nuovo, perfettamente in grado di regalare boccate di aria fresca ad ogni parola. Si uniscono i puntini e la figura finale compare lì, immediatamente riconoscibile. Un ciuffo di capelli blu, i pomelli arancioni e le labbra rosso rubino: Mesdames et Messieurs ecco a voi Anna Piaggi, colei che negli anni ’50 fu in grado di dare una scossa al fashion system, con i suoi redazionali anticonformisti e il suo aspetto grottesco. Così grottesco da diventare incredibilmente affascinante.


È la difficoltà che si trova nel doverla descrivere che la rende unica, sfuggente…inafferrabile.

Sognatrice fin da piccola, al Bar Giamaica di Milano all’inizio degli anni ’60, incontra il fotografo e futuro marito Alfa Castaldi, che le presenta l’avanguardia artistica milanese. L’animo ribelle della Piaggi però si sente in gabbia, scalpita per correre, per immergersi in situazioni e posti nuovi. È la capitale inglese a farla sentire a casa e a regalarle un nuovo punto di vista da applicare al giornalismo. L’atmosfera londinese, in quel momento ricca di tradizione e innovazione, diventa una culla per tutte le sfaccettature della sua personalità e le permette di conoscere il gallerista Vern Lambert, che resterà uno dei punti cardine della sua vita.


La Piaggi torna in Italia come un vento di rivoluzione, con i suoi abiti sgargianti e la frivolezza, solo superficiale, di cui va tanto fiera. Seduta in prima fila alle sfilate, una macchia di colore tra tutti i little black dresses. È proprio il suo rifiuto ad amalgamarsi alle tendenze che la celebra come musa di alcuni tra i più grandi stilisti al mondo, tra cui Manolo Blahnik, Stephen Jones e Karl Lagerfeld. Diventa la fashion-editor di Arianna, poi redattrice per Vogue e nell’84 arriva il progetto Vanity.

Sono le DP di Anna Piaggi però a restare nel cuore dei lettori. Doppie pagine imbevute di follia, di libertà, di avanguardia, di stile estremo. Doppie pagine in grado di far trasparire l’intero mondo interiore della più famosa giornalista di moda italiana, che è riuscita a raccontare i limiti culturali del quotidiano attraverso l’effimero.


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